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Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis - 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

NUMERO 8 - anno 1° - Novembre - Dicembre 2003

PAGINA 3

"Le feste dovrebbero essere solenni e rare, 
altrimenti cessano di essere feste"
Aldous Leonard Huxley

 

L'albero della vita 
Un cammino dentro se stessi 

Durante un'omelia funebre, a cui ho assistito recentemente in un piccolo paese del Monferrato, il parroco ha evocato lo sbigottimento del mitico Ghilgamesch, quando per la prima volta si trovò di fronte all'ineluttabilità della morte, che non conosceva. Mi ha stupito, in quel momento, che l'anziano curato abbia avuto l'idea di rispolverare l'arcaica leggenda della tradizione sumerica, che precede il mito di Adamo, per metterla in relazione a Cristo, colui che - secondo la fede - ha vinto l'ultimo pungiglione che insidia tutta l'umanità.
L'antico precursore della civiltà babilonese dunque, dopo aver aperto gli occhi sull'oasi di delizie che lo circondava, si specchiò nel fiume, nel punto in cui l'acqua immota rifletteva nettamente gli alberi della riva. Guardava la sua immagine muoversi sull'acqua: se lui si spostava quella sembianza lo seguiva. Sfiorò l'acqua timidamente, così sulla superficie increspata la figura si ruppe e scomparve per riemergere quando tutto tornò tranquillo.
Nuovo alle meraviglie del mondo, Ghilgamesch sorrise e capì che quello era lui. Si levò in piedi e camminò sulla sabbia tiepida e, a poco a poco, imparò a distinguere le cose: dalla distesa dei vividi colori del giardino in fiore agli animali dall'aria strana e silenziosa.
Nel caldo meriggio, si mosse ancora cauto ed incuriosito nella macchia odorosa, poi aprì le braccia e lanciò un grido, facendo sbalzare gli uccelli sorpresi. Dall'aria una voce uguale gli rispose, ma non sembrava una persona. Ripetendo l'esperimento, capì che l'eco era identico al riflesso del suo volto e che vi erano oggetti concreti ed altri che nascevano da quelli già esistenti. Per fortuna incontrò subito un suo simile che si chiamava Enkidu. I due si fecero amici inseparabili. Sennonché Enkidu morì assai presto, gettando Ghilgamesch nello sgomento. Di fronte al cadavere dell'amico non seppe capacitarsi:
"Colui che amavo è diventato come la terra!". Per comprenderne la ragione decise di intraprendere un viaggio che nessun mortale aveva mai affrontato: trovare la causa prima di tutte le cose. E gli parve di aver raggiunto lo scopo allorché il saggio Ut-napishtim gli indicò dove cresceva l' "albero della vita". Ma l'incantesimo durò poco, poiché nel ritorno, mentre stava per dissetarsi presso una fontana, un serpente viscido gli rubò furtivamente la sorgente della vita, lasciando il povero Ghilgamesch in lacrime.
Il suo fallimento fece comprendere che con le sole forze della natura gli uomini non avrebbero mai potuto raggiungere la vita eterna e che il vero viaggio da com-piere era un altro: un cammino dentro sé stessi che cominciava con la nascita e finiva con la morte. Allora, fin dai primordi, i sapienti si chiesero: che facciamo di questo tempo che ci è concesso? Si nasce, e con noi nasce un pensiero, un'idea, una possibilità. Come possiamo adempiere la promessa implicita del nostro nascere?
Morendo, potremo dire d'aver esperimentato fino in fondo quel pensiero che germina col primo vagito e che si spegne con l'ultimo rantolo? Ghilgamesch non intuì queste cose. "Ho camminato invano" - pensò - "come se il mio viaggio avesse avuto un propellente inesauribile, e dopo mi sono ritrovato tale e quale: un uomo pronto al male e soverchiato dalle tribolazioni". Poi sopraggiunse la sera e, mentre si coricava sotto il cavo di una pianta, lo assalì una dolce tristezza. Nel cielo cupo le stelle chiarissime tremavano come fiori ondeggianti sotto una brezza autunnale, e s'udiva solo lo scroscio sommesso del fiume che s'infrangeva fra le rocce. Stanco dal lungo camminare chiuse gli occhi al primo sonno. E gli parve ad un tratto di essere ancora nel buio confuso da cui una mano ignota lo aveva tratto, ma c'era in quella penombra una luce lontana, inafferrabile. Era la luce del mattino, la luce del cuore, la luce dell'amore e della vita.

Mario Ogliaro
Storico

 

Esserci

Come sarebbero inutili i miei passi se non ci fossi, se non fossi presente! Come sarebbe inutile il mio cammino!
Che cosa grande "esserci", vedere, sentire, respirare, muovermi, andare! 
Che cosa meravigliosa!
Mi sono commossa prima, camminando. 
Come ha respirato la mia coscienza, sapendo che poteva trasmettere le sensazioni di ciò che mi circondava! Vedevo i miei compagni andare, con me, verso la comprensione, e sono stata felice. 
Sono felice di "esserci", per sentire i sassolini che sto calpestando mentre cammino, le mie mani che si toccano dietro la schiena, si incontrano, insieme, anche loro.
Sono due le mie mani. Mani per fare, gambe per andare.
La musica del vento che sento in lontananza, mentre gioca col mare, e mi accarezza il volto. 
E in mezzo agli arbusti, per terra, una catena. 
Penso all'uomo, alle sue di catene. 
Alle mie catene.

Rosanna M.

 

La fotografia

"Che cos'è una fotografia?"
È l'attimo in cui viene rubata la nostra anima!.
Avete mai notato cosa ci può svelare una nostra fotografia?
Il ricordo, prima di tutto e l'emozione che possiamo rivivere ad ogni istante che la riguardiamo, possiamo trovarci: "gelosia, rabbia, felicità, vanità, orgoglio, amore, gioia e anche odio".
Quello che più ci attrae in quel momento fa parte di noi, è nostro, ci appartiene, come l'attimo in cui abbiamo vissuto la nostra fotografia!

Generosa

Grp

 

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