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Periodico di Informazione Culturale e di Ricerca Filosofica

Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis - 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

NUMERO 10 - anno 3° - Ottobre 2005

PAGINA 5

  "Parla da saggio ad un ignorante ed egli dirà che hai poco senno"  
Euripide

 

   ARTE & CULTURA   

Poesia con i pennelli

Ettore Della Savina è artista a tutto tondo, di quei maestri che si sono formati nell’umiltà dello studio e del mestiere e che ora possono però contare su grande esperienza e intensi successi. Valori che non si perdono col tempo, col soffio di una moda passeggera, ma che restano ben saldi nella carriera di un maestro dell’arte contemporanea quale è il Nostro.
Egli ha trascorso vari stili, sorseggiando avidamente gli anni d’oro della pittura italiana, quando i pittori facevano i pittori e non i mercanti di se stessi all’inseguimento di facili guadagni e consensi. E’ forse, anzi sicuramente, per questo che quando si visita una mostra come la personale che ha allestito all’Educatorio della Provvidenza si resta particolarmente coinvolti, perché davanti agli occhi sfilano epoche lontane, suggestioni fatte di segni e colori, luci e pennellate, agglomerati di materie e pigmenti: quali magie nell’arte di un autore autentico che da sempre ha sposato la qualità e il buon gusto di restare sempre se stessi!
Ettore Della Savina ha presentato una selezione dei suoi 40 anni all’insegna dell’arte, solo un assaggio che lascia in bocca un dolce sapore di buona pittura e al contempo il desiderio di meglio approfondire la conoscenza di questo maestro. I suoi dipinti sono finestre aperte sul mondo della sperimentazione e dell’esercizio non solo stilistico, ma anche espressivo, ricco di afflati scaturiti da un sentire sempre fresco, nuovo, all’avanguardia della rappresentazione dell’io e della realtà, a volte sognata, altre immaginata, altre ancora ripresa dal vero ma trasmutata in un linguaggio forma-colore che era nuovo allora e anche oggi rappresenta un simbolo di una stagione artistica irripetibile e ricca di stimolanti proposte.
Della Savina si propone quindi non solo come maestro, ma anche come testimone di un fare arte sempre spirituale, attenta, esteticamente e contenutisticamente affermata.

Elisa Bergamino

 

Gabriella Malfatti

Le città di Gabriella Malfatti non sono solo immagini di storie e ricordi, ma universi dell’anima che parlano più ai sensi che agli occhi.
La vera protagonista dei suoi dipinti è la luce, filtrata, balenante tra cromie raffinate e chiaroscuri misteriosi e affa-scinanti.
Le sovrapposizioni dei piani e dei colori costruiscono forme tra il reale e l’onirico in cui l’elemento della raffigurazione cede a volte il passo a una più intensa visionarietà.
Gabriella Malfatti costruisce con la sensualità del colore plasmato in volumi geometrici un gioco di specchi che ci permette di visitare con stupore infantile le strade e i vicoli delle sue città amate, da Rivoli ad Avigliana, rendendoci partecipi di un sentimento che lega l’artista alla sua terra attraverso il linguaggio puro della pittura e della poesia. 
E’ così che uno scorcio diventa sguardo buttato sull’uomo prima che sul mondo, perché l’artista trova nella spiritualità l’essenza cristallina della sua emozione, che è anche la nostra, al cospetto di immagini così familiari eppure ammantate di sublime religiosità.
E’ il caso, ad esempio, della Sacra di San Michele, che svetta imponente in tante sue tele, rigorosa, monumentale eppure dolcissima grazie al linguaggio lieve della pennellata e dello stile che rendono ogni soggetto riflesso dell’anima.
Gabriella Malfatti ha esposto al Forte di Fenestrelle, recentemente, una serie di lavori incentrati su scorci urbani, monumenti, edifici sacri che abitano la val Susa e il Pinerolese: un vero inno alla bellezza di queste terre che diventa, con il gusto e l’eleganza dell’autrice, documento autentico di memoria e suggestione.

Elisa Bergamino

 

 

   LIBRI   

 

Digiunare, divorare
di Anita Desai

Anita Desai è la più importante scrittrice indiana, e il suo Digiunare, divorare edito da Einaudi, è la dimostrazione della sua maestria nel raccontare storie che a noi paiono lontanissime, ed invece hanno un fondo di verità che le rende universali.
Ovunque dolenti.
Il libro ha una dedica: A coloro dei quali ho narrato la storia.
Paiono solo delle parole di cortesia, che magari possono essere lette di sfuggita, all'inizio del libro.
Ed invece sono il baratro che ci scaraventa nella consapevolezza della realtà, che quelle persone di cui leggiamo la vita, le storie, sono esistite o esistono, e i loro dolori, le loro sconfitte, la loro ignavia, sono tragedia concreta e non il parto di una fervida fantasia.
Il libro racconta la storia di una famiglia agiata di una piccola cittadina di provincia, in India. Padre, madre, tre figli.
E la piccola grande corte di persone, parenti, servitori e conoscenti che attorno a questo nucleo gravitano, ora come motore, ora come satellite.
Non sono storie belle, né divertenti. L'ignavia domina nelle afose stanze della famiglia delle sorelle Uma e Aruna e del loro fratello Arun. E' una catena di consuetudini millenarie,di doveri ancestrali, che avvolge come un sudario, e soffoca ogni velleità.
Uma è diversa dagli altri, poco intelligente e goffa, non bella, incapace di essere protagonista di un matrimonio, anche se combinato e pagato a caro prezzo dai suoi genitori.
Aruna, invece, più graziosa e intelligente riesce a realizzare un buon matrimonio che la cambierà, facendola diventare arida. Il loro fratello Arun, che si trasferisce in America per studiare, porterà con sé le sue catene, e sarà il testimone di una nuova realtà, quella di una famiglia media americana dei sobborghi, con le sue sconfitte, diverse da quelle delle famiglie indiane, ma egualmente devastanti.
Uma, rimasta a casa come figlia zitella e quindi incaricata di accudire e servire i suoi genitori, benestanti, capricciosi e incantati di passato, è la coscienza protagonista della prima parte del racconto. I suoi occhi vedono, scrutano, non capiscono. Piangono. Piangono l'ingiustizia appena percepita e poi subita. Piangono la morte sacrificale – e dannatamente, struggentemente vera e attuale, anche nel nostro idolatrato ventunesimo secolo - di Anamika, cugina bellissima e intelligentissima, vittima prima della 'tradizione' che le impedisce di andare ad Oxford, poi della sua suocera aguzzina, che dopo averle divorato venticinque anni di vita, trattandola peggio di una schiava, la cosparge di kerosene e le dà fuoco, per permettere al figlio di sposare una donna nuova, di ottenere una nuova cospicua dote. Per poter avere una nuova schiava.
E questa non è invenzione, è realtà.
Hanno tante lacrime da versare gli occhi di Uma. La mancanza di speranza, la piatta e vuota consuetudine che ammorba tanti popoli, da un capo all'altro degli oceani, in ogni terra dalla più avanzata alla più arretrata. In America Arun è stolido testimone della decadenza di una famiglia americana e della sua civiltà. In India Uma del consolidamento continuo della tradizione più nefasta ed esiziale.
Nessuno di loro, fratelli separati e pure mai stati così uniti, riesce nemmeno lontanamente a immaginare che vi possa essere un altro mondo, un altro percorso da seguire, una vita diversa da vivere. Peccato. Eppure, terminando questo libro con un sentimento controverso di rabbia e disagio, non si può fare a meno di pensare ad un uomo piccolo e curvo, che con la semplice forza della volontà e della non violenza riuscì a far inchinare ai suoi piedi Imperi e popoli. Ghandi. 
Ma forse, di fronte all'ignavia imperante, nemmeno lui sarebbe riuscito a spezzare le catene.

E. B.

 

 

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