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Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis - 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

NUMERO 3-4 - anno 1° - Giugno-Luglio 2003

PAGINA 4

"Chi vuol muovere il mondo prima muova se stesso."
Socrate  

 

 

 

 

Riflessioni

 

 

 

 

 

 

Sentirsi spenti

Apatia, poca gioia di vivere.
Subire le situazioni per me è normale.
Normale – che strano è normale – per me normale vuol dire sofferenza.
Perché subire? Subire non serve a niente se non fa far crescere il mio dolore, il mio disagio nell'affrontare la vita. Spenta, mi sento spenta. Dentro di me sogni che
si affacciano ma rimangono li senza sbocco.
Gatti – gatti nel prato ed ho perso la mia, ne prendo una cucciolo ma lo so che non è lei. Erba secca – gatti che mi guardano, ma lei non c'è.
Ansia, sensazione d'ansia. Ansia per qualcosa che non riesco a fare.
Quante cose non riesco a fare che pure dovrei.
Disordine, confusione mi fanno stare male ma ci sono perché io non faccio.
Faccio solo l'indispensabile, non mi va di impegnarmi di più. Mi richiede impegno ed io ho solo voglia di stare li, ferma a fantasticare.

g.m.

L'esterno dell'uomo

L’uomo nasce, vive e poi muore.
Durante questo percorso si trova davanti a se stesso.
Ma non lo vede. Il suo sguardo è fuori.
Ma se nasciamo è perché dobbiamo comprendere; le cose che la vita ci propone servono solamente a questo.
Nella mia esperienza ho sempre “lottato” fuori di me, perché comunque mi sembrava che qualcosa si risolvesse; sono andato avanti, migliorando il mio modo di vivere.
Ma quando mi si è presentata una situazione per me dolorosa, mi sono trovato impotente: tutto quello che era il modo solito di affrontare i problemi in questo
caso non aveva alcun risultato.
Osservavo la disperazione che nasceva, perché non comprendevo l’esperienza nella sua totalità, non mi nasceva il giusto rispetto per la vita e per quello che siamo in realtà.
Soltanto una comprensione nuova, che sta al di là del normale guardare le cose può farmi andare avanti, non c’è un’altra strada.
È una strada che porta all’amore vero…
Ci vuole costanza e non mollare mai.

Antonio

Sto lavorando su di me

Mondo esterno. Vita sociale. Desidero la compagnia degli altri. Parlare. Passare del tempo insieme. Ma a volte mi resta un vuoto. E se rivedo quel tempo passato assieme cosa mi rimane? Spesso è stato uno scambio di banalità. Uno scambio di frustrazioni.
Tanti io in competizione. Parole che nascono per sopraffare. Parole che entrano dentro me e portano con loro il peso di chi le ha pronunciate.Dentro di me entrano i problemi degli altri. 
Dentro me entra, nascosta da una finta risata, la loro tristezza.
Dentro me entrano le paure degli altri ,con il loro dubbio, la loro incertezza. 
Questo non è il condividere di cui ho bisogno. E devo essere attento, non voglio offrire agli altri il mio dolore, perché così lo rivivrei ancora.
Se parlo con cattiveria potrei ingannarmi in una falsa soddisfazione di sfogo, ma quando lo faccio sono cattiverie, mentre pronuncio parole cattive la mia intenzione e' doppia, il mio pensiero e' di colpire, conosco la cattiveria in quel momento gusto il sapore amaro, faccio esperienza di sapore amaro. Non voglio offrire questo. Offrire cattiveria, paura è esser cattiveria, invidia. Non voglio offrire, non voglio ricevere. La vita sociale degli uomini dovrebbe smettere di essere quella del branco di animali. Voglio smettere di essere animale. Riconoscere dentro di me il mio problema e lavorare sulle sue radici, senza aggiungerci quello degli altri. Riconoscere ciò che è trasportato dalle parole.

Marco Rinaldi

Come il mio IO ha bisogno!

Il mio bisogno è grande come uno scoglio, scoglio grande nel mare, mare in tempesta, io sono la barchetta che deve superare quello scoglio, so che c’è e faccio finta che non c’è, so che c’è, lo sento, ma faccio finta che non c’è, invece c’è, e so che devo superarlo, vincerlo, non farmi più ingannare da lui, lui che c’è ma non c’è; c’è ogni volta che io lo alimento, ogni volta che io sono più debole, ogni volta che non credo in me, ogni volta che mi dico non ce la faccio più, e diventa allora sempre più grande, più grosso, si lievita da solo, pieno di sporgenze dove vado a sbattere ogni volta che mi perdo, ogni volta che mi perdo nella speranza che non ci sia, ogni volta che mi perdo nel sogno che non c’è, mi perdo nell'illusione di vivere senza vederlo, mi perdo nello smarrimento, smarrimento di credere che le cose vadano come io ho bisogno, ed ogni volta invece ci vado a sbattere. Lui diventa meno maestoso quando mi sento un po’ sicura di me, quando vedo quello che ho fatto, quello che ho costruito, quello che ho realizzato, ma il pensiero di quel bisogno non mi fa apprezzare appieno tutte le mie conquiste ed ogni volta ci giro intorno e ci vado a sbattere, quel bisogno di affetto, di famiglia, di sentimenti corrisposti, vissuti senza ma senza se, senza giudizi, semplici,
puliti, quel bisogno immenso di amare, di sentirmi amata, di sentire che ci sono, io ci sono, quel bisogno, ma da dove cavolo nasce?
E perché è così forte e così vivo?

Gianna

Mi era dovuto

L’odore forte di lavanda e trementina. Per fortuna stanno finendo i corsi.
Vedo il prendere e la poca voglia di dare.
Questa esperienza di lavoro mi fa continuamente da specchio a come ero.
Tutto mi era dovuto. Guai se non arrivava.
Era scontata la mia rapina, non mi guadagnavo nulla.
C'era solo un prendere a piene mani. 
E questo aspetto me lo portavo anche nei rapporti.
La parola d’ordine era "prendere", guai a chiedermi di donare.
Io – io e ancora io e lui dominava la mia esistenza.
Gli altri? Ma perché c'erano? 
Non me ne accorgevo proprio anzi se li vedevo erano soltanto da scavalcare perché creavano disturbo.
Questa ero io mostro autentico doc.

m.c.

 

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