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Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

N° 3 - anno 12° - Dicembre 2013

PAGINA 5

Stanze vuote

A volte arrivano i momenti del riepilogo sui quali è giusto soffermarsi, non per sensi di colpa tardivi e inutili, ma per una semplice considerazione.
Quante volte mi aggiro per la casa come in un abbraccio, quanto ho desiderato vederla così, bella come una conquista. Mi specchio in lei come nella mia creatura, gli occhi guardano e dentro risponde un sorriso beato, compiaciuto. E mi prende un bisogno grande di condividere questa gioia, ma sento che mi manca la condivisione. Questa sarebbe una casa perfetta per una famiglia, penso. Eppure per tanti anni qui è vissuta una famiglia, è nata, è cresciuta, ma non sono stata capace di capirla, di condividerla cioè di viverla. 
E gli anni sono passati, tanti, sono diventati memoria. 
La vita scorre e se non ti accorgi di lei vuol dire che non ti accorgi nemmeno di te e ti ritrovi a guardare il vuoto che lascia, come queste stanze. 
Il non vissuto, il vissuto male. 
Ho avuto una famiglia, ho fatto parte di una famiglia e ora ci sono ancora, continuo a esserci e mi accorgo di me, sono la componente della famiglia che abita in questa casa. 
Cos’è che vorrei che mia figlia sentisse, almeno ora? 
Che i suoi genitori ci sono per lei, anche se separati, anche se uno di qui e uno di là, anche con i loro limiti, ma sempre i suoi genitori. Che se sono stati ciechi quando era il tempo di essere una famiglia, che almeno adesso ci siano per lei e le diano amore, senza chiedere.
Vorrei che, anche se separati, avessimo per lei quell’unione che non c’è mai stata quando eravamo insieme. Anche questa casa ora sarebbe più piena.

Rosanna

 

 

I gesti degli altri

Penso a quanto mi influenzano le parole e i gesti degli altri, sopratutto in certi momenti. 
Quanto mi faccia gongolare un “brava”, quanto mi faccia irritare se mi viene fatto notare qualche cosa, se vengo ripresa, se non rispetto le aspettative di un’altra persona.
Quanto dipende il mio umore da queste cose... fa
Dove sono io? 
Perché voglio vivere in base all’opinione che gli altri hanno di me? 
Perché non riesco a sentire chi sono io, ascoltare gli altri, senza farmi trasportare dal pensiero altrui, come dalle onde? 
Perché deve essere così importante quello che pensano gli altri?

Caterina

 

 

Il tempo non si ferma

Mi spaventa l’idea di invecchiare da sola, mi angoscia l’idea di ammalarmi ed essere da sola e non autosufficiente. Mi spaventa il fatto di aver bisogno di aiuto e non riceverlo, perché sono sola. È la sensazione che ho certe mattine quando mi sveglio, di essere in un deserto, lontano miglia dalle persone, come se fossi separata dal resto del mondo. Ho paura di non essere abbastanza per me e di essere obbligata a stare da sola.

Apro il cuore: ahia, che fatica! Vedo una me che non mi piace molto, ma c’è, sono così ed è ora di guardarmi. 
Sono due e diverse le sensazioni che mi accorgo di provare: due bisogni. Uno è quando una persona mi fa un complimento, mi rivolge un’attenzione e io mi sento apprezzata, importante, mi sento in un abbraccio, allegra e mi dà grinta.
L’altra invece è la continua ricerca dell’uomo giusto per me, che mi amerà tanto, con cui condividere moltissimo e che non mi lascerà mai sola. 
Ma è un’illusione, una ricerca di fumo, muffa, nebbia, perché nasce da una paura. La paura di restare sola. Che cosa può nascere di buono da una paura? Eppure patisco, sto male, esco, sono fuori da me e cerco, cerco, cerco, elemosino, chiedo...ma non concludo nulla, disperdo e basta!

Quando mi sale la rabbia, ho l’impulso di scaricarla danneggiando me, pensando di fare un dispetto agli altri. 
Una volta da piccola mi ero arrabbiata con i miei genitori mentre eravamo a tavola. Così sono andata in cameretta e ho buttato per terra tutti i miei peluches; ma poi ho dovuto tirarli su io uno ad uno: è stata una fatica ed una fregatura.
Più grande, da adolescente, quando mi arrabbiavo, mi veniva voglia di non mangiare più come dispetto, anche se l’appetito non mancava.
Ora non mi arrabbio più tanto, come una volta. 
Ma quando succede il meccanismo è sempre lo stesso. 
A chi faccio lo sgambetto? Me lo faccio da sola! 

Caterina

 

 

 

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