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Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

N° 1  anno 16° - Gennaio 2017

PAGINA 8

   "Un po’ di filosofia allontana dalla religione, ma molta riconduce a essa"    
Antoine Rivarol

 

      ARTE  &  CULTURA     

Carneade

Carneade 

Don Abbondio non aveva un “Rolex” al polso, eppure, con stupefacente puntualità, allo scoccare delle 16, usciva dalla canonica e svoltava verso il pilone di Santo Stefano sfogliando il breviario. Quel giorno la pagina era dedicata a Carneade. “Ma chi è questo personaggio della filosofia greca?” borbottò innervosito. “Carneade, Carneade… ma chi era costui?”. Camminava ripetendo il punto di domanda, scansando coi piedi i ciottoli sospinti da un recente temporale.
Carneade era un filosofo praticamente sconosciuto. Era nato nel 215 prima di Cristo, ed era stato, ad Atene, uno dei primi dotti pronti a divulgare le teorie di Platone con un altro filosofo poco noto, Arcesilao. In quegli anni la filosofia rappresentava lo studio dell'intero sapere: anatomia, chimica, medicina, matematica, architettura ed un astruso dogmatismo in parte stralciato dagli stoici, in parte dai scientifici. 
Quando arrivò a metà della sua vita, Carneade contribuì allo studio della filosofia insegnando ai suoi allievi una sua curiosa ipotesi: il “probabilismo”. Diceva:“ Molte ipotesi sono astratte. Ma il fatto che esse non vengano inserite nel concreto, non dice che non siano vere. 
Un esempio – aggiungeva - tutto probabilmente può essere annunciato. Due più due quanto fa? Probabilmente quattro – rispondevano a gran voce i suoi alunni – ma come potremmo giurare se è più esatto rispondere quattro e non cinque?”
Fu invitato a Roma da un altro filosofo, Arcesilao, entusiasta delle sue lezioni. 
Arcesilao gli dette ragione ed insieme diedero vita ad una corrente di pensiero che a Roma fu inserita nella “pitegoreggiante metafisica” maturata nel giro di pochi anni nello scetticismo. Il senso del “probabilismo” piacque per diversi motivi, prima di tutto non impegnava i sostenitori di Platone, e poi discutere sulla filosofia greca, dava lustro ai letterati.
A Roma, nell'anno 155 a.C. si tenne una gara di oratoria. Fu vinta da Carneade con un trattato sulla giustizia: “Nulla c'è più giusto dell'uomo giusto”. Avvocati, giudici, probiviri e tribunalisti lo elessero “Saggio dell'anno”. 
Ma tale riconoscimento durò poco. A farlo cadere dal pulpito della saggezza fu il potere legislativo della stessa Roma. Nel 154 agli uomini politici non piacque una lezione di Carneade, in modo particolare una azzardata affermazione: “Se i romani - diceva - volevano essere giusti, dovevano andarsene da Roma e tornare alle loro capanne”. 
Apriti cielo. Uno scolaro – Clitomaco - lo apostrofò dall'arena del Colosseo. Lo accusò di non essere mai stato chiaro e di aver fatto una gran confusione.
Carneade se ne andò tra i fischi degli spettatori. Tornò in Grecia e qui ricevette un'altra delusione: gli fu vietata persino l'aula scolastica dell'Acropoli.

Ito De Rolandis

 

ArtePronta

 

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