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Periodico di Informazione Culturale e di Ricerca Filosofica

Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis - 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

N° 3  anno 16° - Giugno 2017

PAGINA 4

   "Profeti del tempo. 
   Come le nuvole ci rivelano in che direzione soffiano i venti in alto sopra di noi,   
così gli spiriti più leggeri e più liberi preannunciano con le loro tendenze
 il tempo che farà"    

F. Nietzsche

Imparare ad ascoltare il cuore

Un'altra morte improvvisa, sì era malato ma non sembrava così grave. Invece è successo: malore, ospedale e non è più uscito. 
La vita è appesa ad un filo eppure anche se lo si dice non capiamo veramente la vera realtà di questa affermazione.
Sempre in balia di questo o di quello, preoccupazioni ed affanni che ci portano lontano e ci fanno dimenticare l'importanza di noi, del nostro cuore. Quasi mai ascoltiamo il cuore. 
Quel cuore nascosto, martoriato da sentimenti e bisogni effimeri. Tutti parliamo di sentimenti, di amore, tante belle parole ma quasi sempre vuote senza cuore. 
Il cuore è uno sconosciuto che aspetta soltanto che lo si faccia vivere. Vivere il cuore pienamente è il nostro dovere primario di esseri umani. Il mio cuore piange, per tanto tempo non l'ho ascoltato, era un dolore che avevo da sempre ma... era sconosciuto. Solo riuscendo a smantellare l'impalcatura di condizionamenti è riuscito un po’ a respirare, a farmi sentire e vedere che le cose possono cambiare, che l'apparenza non è la sostanza, che non bisogna per forza subire e soffrire, che la forza e la sicurezza vengono da dentro: dal mio cuore.

Giò

 

 

Circostanze di vita

Oggi è oggi, ma nella mia testa sono nell’ieri, vivo questa giornata pensando a ieri e a tanti ieri che fanno anni. Oggi nel calendario c’è una data, ora nell’orologio la lancetta segna una certa ora, ma vedo che io non ci sono, non ci sono né nel giorno di oggi né nell’ora di adesso, il mio pensare è a ieri, all’altro ieri e ai tanti ieri che hanno fatto anni. 
Fisicamente sono qui, fisicamente sono nella mia casa, fisicamente sono seduta sulla sedia e scrivo sul mio quaderno, sopra il mio tavolo, so che sto facendo tutto questo, ma non ci sono. 
Non ci sono con la mia testa, piena di pensieri, piena di quello che ho sentito, piena di quello che ho visto, piena di quello che ho provato, piena di somme di impatti, di emozioni, di stati d’animo, non solo di ieri come data, ultima data sopra altre date, altre situazioni, una sopra l’altra. 
E’ incredibile vedere tutto questo, tutto dentro di me, tutto immagazzinato dentro di me, io sono lì e non riesco assolutamente a non essere che lì, nel pensiero, nei pensieri che mi porto dentro e che mi danno tanto dolore. 
E’ incredibile vedere tutto questo e non riuscire ad essere in questa giornata, unica come tutte, irripetibile come tutte, ma non presente, perché io non sono presente.

C. G.

 

 

Abitudine alla superficie

Impreparata alla vita. Sono cresciuta barcamenandomi nella vita di tutti i giorni.
Da bambina le cose mi accadevano e io avendo poco dialogo coi miei genitori non chiedevo mai nulla, non facevo domande, sono andata avanti sul loro esempio.
Ho sempre affrontato gli eventi della vita con quello che riuscivo a copiare in giro, oppure li affrontavo superficialmente o con leggerezza. Una banderuola. E i disastri, purtroppo, sono accaduti.
Misuravo le persone con i soldi, ho sempre invidiato chi possedeva tanto o anche solo poco più di quello che avevo io e continuo. 
Carla mi è stato di grande sostegno nella mia separazione, ma la mia incostanza e pigrizia mi hanno fatto interrompere la mia ricerca, questo aiuto prezioso e che ho ripreso.
Da poco tempo mi osservo e credo di avere un po’ più di consapevolezza del mio vivere e inizio a “vedere” ciò che mi arriva da dentro. 
Non avessi incontrato Carla non avrei modificato di un millimetro la mia vita. Sarei rimasta sempre in superficie.
Grazie.

Marisa

 

 

Le favole di Gianna

LA VECCHINA E I DUE BAMBINI

All'angolo della strada sostava tutti i giorni una vecchina. Era grassa, sformata, con ciuffi di capelli scompigliati e grigi che uscivano da sotto un fazzoletto annodato nella nuca.
Due maglioni e un cappotto aveva addosso, un ombrello agganciato al braccio destro e un bastone nel sinistro.
Due grandi buste di plastica, colme di roba, vicino a lei, per terra. Fermava o tentava di fermare tutti quelli che le passavano accanto perché voleva parlare, voleva che qualcuno l'ascoltasse. 
Abbandonava la sua postazione per pochi minuti, tre volte al giorno. Allora con passo malfermo si dirigeva verso i due cassonetti della spazzatura e frugava dentro alla ricerca di cose che solo lei sapeva. 
Toglieva qualche volta una scatola vecchia, altre volte un vestito, molte volte ancora avanzi di cibo. Alcuni fili di pasta, un pezzo di osso con ancora la carne attaccata e raramente un po’ di pesce. Quando le andava bene trovava anche una foglia di lattuga e due arance. Allora si sedeva sul gradino di un palazzo e mangiava. Poi riprendeva le sue buste, la sua scatola, il suo ombrello, il suo bastone e camminava intorno ai palazzi della zona. Per poi rifermarsi al solito angolo della strada in attesa di qualcuno che l'ascoltasse.
E nessuno si fermava. Diverse volte i vigili l'avevano portata nel dormitorio del comune, ma poi lei scappava per tornare in quell'angolo di strada, che era tutta la sua casa. 
Faceva pena e rabbia.
Un giorno due bambini, che l'avevano osservata a lungo e avevano capito che non era pericolosa, si avvicinarono a lei, la guardarono e senza rivolgerle una parola, andarono via. Il giorno dopo tornarono ancora, trovarono il coraggio di salutarla, ma poi scapparono di nuovo. 
Il giorno dopo ancora le portarono una merendina e senza dire mai una parola, gliela donarono, per poi scappare via. 
Ogni giorno le portavano qualcosa. Le regalarono pure una vecchia raccolta di fumetti e due biglie colorate. 
La vecchietta prendeva tutto e non diceva nulla.
Borbottava qualcosa e poi sorrideva. 
Un giorno in cui l'aria si era fatta più pesante per colpa dell'inquinamento e fu anche vietata la circolazione delle macchine, i due bambini trovarono la vecchina distesa per terra, sopra un cartone.
Ansimava, quasi boccheggiava come un pesciolino rosso fuori dall'acqua. La sua faccia era tutta viola. 
I due bambini si impressionarono molto nel vederla in quelle condizioni e decisero di fare subito qualcosa per farla respirare, per farla vivere.

Corsero a casa, si procurarono gli apriscatole e poi, come impazziti, si misero a frugare in tutti i cassonetti della zona, alla ricerca di barattoli, latte, lattine, corde, spaghi, bastoni, chiodi e stracci.
Raccolsero tutto sul marciapiede e iniziarono a costruire un grande tubo. Prima presero i barattoli, staccarono i fondi e i coperchi, vi fecero dei buchi ai lati e poi li incastrarono l'uno dentro l'altro. 
Quando il lungo tubo fu pronto, vi infilarono all'interno i bastoni legati fra di loro E li fissarono, poi, ai barattoli con gli spaghi passati nei buchi. E ai bordi della prima latta, quella più grossa, avvolsero tutti gli stracci.
Afferrarono il tubo e lo trascinarono accanto alla vecchina. Lo tirarono su per i bastoni e lo appoggiarono alla grondaia del palazzo. Il tubo era così alto, ma così alto che sovrastava il palazzo stesso, era più alto ancora, arrivava al cielo, oltre la coltre di smog che copriva la città. 
Accostarono l'imboccatura del tubo al viso della vecchina. 
Lei, la vecchina, incitata dai due bambini, cominciò a respirare. Prima lentamente e poi a pieni polmoni. Il suo viso iniziò a cambiare colore. Da viola divenne rosso e poi rosa. 
A quel punto la vecchina si scostò dall'imboccatura del tubo e disse ai bambini che aveva sentito per la prima volta un'aria fresca, frizzante, pungente. Forse era quella della montagna o forse era quella del mare. Non lo sapeva, perché non le conosceva, sapeva solo che le piaceva.
Guardò dentro al tubo e disse ai bambini che c'era una macchia azzurra, ma così azzurra che era impossibile descriverla. Anche i bimbi vollero guardare per capire come fosse quel colore. Le dissero che era il cielo, lo stesso cielo che avevano visto in vacanza. 
E la vecchina disse che lei, ormai, desiderava solo quello. 
Allora riprese a respirare dentro al tubo. 
Respirò forte, ma così forte che sembrava volesse portare tutto quel cielo nei suoi polmoni. 
All'improvviso chiuse gli occhi e si afflosciò per terra. E davanti ai due bambini esterrefatti, si trasformò in un uccello, dai mille colori.
Che volò via, verso il suo cielo.

Gianna C.

 

 

 

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