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Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis - 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

N° 1  anno 17° - Luglio 2018

PAGINA 5

   "Il mondo è un posto pericoloso, 
     non a causa di quelli che compiono azioni malvagie    
ma per quelli che osservano senza fare nulla"    
Albert Einstein

Le due bandiere

Rientravo a casa ieri sera, camminavo sul marciapiede guardando verso il basso per sicurezza, all’improvviso ho percepito qualcosa di scuro che si muoveva in altro, a destra, nella facciata della scuola. 
Mi sono fermata ad osservare e ho visto, sopra il grande portone della scuola, due bandiere sporche, molto sporche, a destra la bandiera italiana, a sinistra la bandiera europea. Non le avevo mai viste, o non ricordo di averle mai viste, e nel vederle così, in quello stato, mi si è stretto il cuore. 
Due bandiere, una il simbolo del mio Stato, della mia Patria, l’altra il simbolo dell’Europa unita dopo le guerre. Due bandiere lerce, abbandonate a se stesse, chissà da quanto tempo per essere così malridotte. Possibile che nessuno della scuola se ne sia mai accorto? Possibile che nessuno abbia mai pensato almeno di lavarle o sostituirle con altre nuove? Sì, è possibile, visto che è così. 
In una scuola elementare, un grande edificio storico, anch’esso mal ridotto, senza manutenzione da decenni. Non avevo mai osservato con tanta attenzione questo edificio e le due tristi, rovinate, sporche bandiere. Eppure ci passo davanti tutti i giorni, tutti i giorni ci vedo uscire decine e decine di bambini e vedo genitori e nonni, a piccoli gruppi, che li aspettano lì davanti. E in quella scuola fanno anche i seggi elettorali per le elezioni.
Guardavo da sola, osservavo e pensavo a tante cose. 
Pensavo a quante abitudini, specialmente quelle brutte, si costruiscono nel tempo senza accorgersene, ci si abitua all’abitudine, all’abitudine dell’abbandono di cose belle e importanti che non abbiamo visto e non abbiamo curato come meritavano e come meritano. Non abbiano riconosciuto e protetto il bello, il costruito, il frutto di lavoro e di sacrifici di altre persone venute al mondo prima di noi. 
Abbiamo creato un’abitudine al non visto, al non riconosciuto, al non rispetto. 
Ho visto, fermandomi davanti a quella scuola, come non si è coscienti della non coscienza e quanta incoscienza si stratifica nel tempo, nella nostra vita, diventando un’abitudine, fino a quando non cominci a vedere che i tuoi occhi, la tua vita sono stati coperti dall’incoscienza dell’incoscienza. 
Senza i passaggi graduali della visione dell’incoscienza della tua vita non arrivi lentamente al senso di sollievo dalla prigione dell’incoscienza, alla graduale libertà da quella prigione in cui hai vissuto per anni senza averne coscienza. 
Se non fai tutto questo dentro di te, non puoi neanche vedere la scuola, le bandiere sporche e abbandonate, gli abbandoni del bello, l’abbandono di te stessa. 
Più vedi l’abbandono di te stessa, più vedi l’abbandono che ti circonda e in cui vivi tutti i giorni. 
Grazie Carla.

Gianna

 

 

Concetti

Avevo un concetto chiaro solo qualche ora fa, ma la pigrizia mi ha impedito di scriverlo.
Era un pensiero chiaro su come desideravo che la mia giornata fosse.
Sogno, sogno di questa mia vita astratta.
Estratta dal universo si è incarnata in un quotidiano radicato in tradizioni e abitudini.
Stanca di pensare si è addormentata in un sogno perpetuo.
Impotente guardo le due riviere e decido di camminare nel mezzo e mentre cammino nel mezzo ritrovo il centro di me stessa.
Mi rendo conto di essermi costruita su tante incertezze.
Ho preteso per continuare.
Ho fatto finta di sapere per ottenere quel lavoro.
Ho dato di me un’idea di forza e tanti ci hanno creduto.
Ho usato l’istinto della sopravvivenza.
La mia base resta quella di un essere che è cresciuto solo senza incoraggiamento e complimenti e tanti calci in culo e schiaffi morali.
Di questo ne sono triste, ma queste sono state le circostanze della mia vita.
Tutto ha una spiegazione e un perdono.
Ed ora che sono grande e tento di solidificare le mia radici interiori in modo che l’albero possa produrre tanti frutti nutrienti.
Vorrei non avere più bisogno delle mie paure perché queste sono come parassiti che si infiltrano e distruggono l’opportunità di dare buoni frutti del mio albero.
Ciò che riconosco in te e il ritratto del mio passato e il mio passato e andato via.
La memoria di un secondo mette insieme il lavoro di una vita.
L’importanza di un vissuto che la ricerca di un secondo può confondersi nell’illusione di quell’essere sepolto.
All’incarnarci egli resuscita ma di tutto si è scordato.
Il perché e la ragione sono difficili da ricordare mentre mi cullo in questa sedia che si chiama dolce vita.
Il rilievo dei ricordi dà un senso a ciò che sento, non ce niente di parlato a spiegar questo momento.
Sono io che mi sento mentre tu tendi la mano a quel povero mio essere da quaggiù, sto guardando e la distanza non è interrotta.
Sono viva, sono vera, sono qui e sono io, sembra quasi l’indovinello di quel caro Frate Indovino.
La risposta sto cercando, forse lei è la chiarezza.
Nella semplicità delle cose si ritrova in tutti i tempi.
Di me stessa son la madre, la sapienza della speranza.
La bontà di questa vita si richiude in una preghiera.
Le mie mani contro il mio cuore garantiscono la fede, del amore ne ho la certezza quando vedo dentro i mie occhi.
Un puntino interrogativo mi fa chiedere: chissà?
Chissà se è vero?
Questa storia sono anch’io, solo quando sono presente.
Nel mio cuore ho registrato quasi avessi la paura di doverla dimenticare.
Le mie mani chiudo strette perché sono la cassaforte di tutti i sogni e desideri.
Quante vite sono partite, voglio tutte ricordarmele mentre cerco di abbracciare tutto quanto l’universo.
Tutto quanto l’universo son anch’io e son me stessa.
Questo amore disperato si e già perso per la strada, ora tu trova il cammino per tornare a casa tua.

L. D.

 

 

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